La poesia di Gianni Darconza è poesia civile nel senso non solo più alto ma più moderno del termine, prendendo atto che la nuova filosofia, cioè il nuovo modo di interpretare il mondo –in realtà già da un bel pezzo- si chiama scienza, e il problema veramente grosso, di cui ancora non vogliamo renderci conto, è di come questa mutata prospettiva abbia anche cambiato, che ci piaccia o no, il nostro modo di vedere le cose, il nostro rapporto con la natura, con il quotidiano e anche con gli altri, finanche con l’amore. In "Oltre la lastra di vero" Gianni Darconza, come un novello Lucrezio, prova ad aprirci gli occhi, con una discorsività volutamente piana e diretta, ma pronta ad impennarsi verso la dignità retorica dell’endecasillabo. Strizzando l’occhio a tanta divulgazione scientifica, ma volgendo il suo dettato sempre verso il piano etico, coinvolge il lettore nel tentativo di rispondere alla domanda: che significa tutto questo per i nostri sentimenti, per le nostre povere emozioni? Scopriamo insieme a lui che, se perfino il linguaggio della scienza ne è inguaribilmente innamorato, di sentimenti ed emozioni, appena prova a darci qualche lume in più le cose invece si ingarbugliano, fra gatti vivi e morti allo stesso tempo, particelle che fanno la ruota del pavone solo se qualcuno le guarda e quando non succede non si sa più in quali faccende siano impegnate. Insomma, punto e a capo. Non resta che esserne coscienti, magari con una spruzzata di sana ironia.
commento critico di Andrea Tavernati