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IN VIAGGIO VERSO… L’ESTREMO ORIENTE

Articolo di Martina Toppi

Prendete un bel respiro e scollegate i pensieri dalle preoccupazioni quotidiane per imbarcarvi sulle nostre poesie. Lasciate con l’immaginazione le vostre case e i vostri uffici: oggi viaggiamo insieme verso l’Estremo Oriente.

Il primo approdo è una terra azzurra. Dal punto elevato della collina su cui ci troviamo aguzziamo lo sguardo fino a scorgere una linea d’argento che separa i chilometri di risaie.

C’è un fiume in un mare di verde e sul fiume c’è un ponte. Sul ponte c’è una ragazza e sulle sue spalle c’è una cesta. Una cesta di vimini che a stento si regge su quella pelle fragile, mentre il vento dell’oceano la riempie delle fragranze di fiori. C’è una cesta e nella cesta c’è una lettera e nella lettera c’è una storia e nella storia c’è un popolo.

“Caldo è il tuo abbraccio/ il laccio della cesta punge/ innamorato delle spalle che sudano/ per portare l’amore sul ponte./ Siamo tornati insieme/ attraverso bombe e proiettili/ ordinari ma enigmatici/ come fossimo tutti spalla a spalla.”  (Canto delle spalle, canto popolare vietnamita)

E’ un popolo che canta da tempi lontani, ma la voce di questi uomini, forte di un’eco condivisa, giunge fino a noi per intessere in versi la storia di un paese, il Vietnam, che ha conosciuto la guerra per amore della libertà. Se per un istante vi sembra di non poter capire, di essere tornati alla vostra quotidianità dove la guerra è uno spauracchio e la libertà un bene scontato, pensate che invece quella terra lontano da qui è tanto simile alla nostra penisola almeno in un aspetto: anche il suoi cuore batte sull’acqua. In quella terra scorrono fiumi e su quei fiumi galleggiano poesie e queste poesie sono il museo dell’anima del Vietnam, il cui canto fraterno arriva fino a noi. In Vietnam la guerra degli uomini è finita da qualche tempo, i soldati hanno deposto le armi e sono tornati ai campi, le loro poesie sono il ricordo di giorni conclusi e la celebrazione di morti troppo precoci. Nella loro poesia però quei defunti rivivono e le storie ormai dimenticate ritrovano un senso. Altre voci nel frattempo si levano e ci cantano nuove storie, voci di donne che cercano nell’amore la libertà. Nelle parole di queste poetesse riscopriamo il senso più puro della libertà: non tanto poter fare ciò che si vuole, quanto piuttosto poter  essere ciò che si è. In Vietnam c’è una donna su un ponte, sopra a un fiume d’argento, e quella donna sogna di cambiare il mondo semplicemente innamorandosi senza la gabbia di una relazione imposta dall’alto, dalla famiglia e dalla società. Nei versi ci racconta la sua storia, che rivoluziona un’intera nazione con la potenza di una sola, piccola poesia: “voglio cambiare/ avere il coraggio di provare quel dolore/ lottare per il mio amore/ a modo mio. / Conquistare il cuore dell’uomo giusto/ per me.../ E le vecchie usanze muoiono/ e il mondo intero cambia/ per tutti...” (Kieu Bich Hau, da Lo sconosciuto, IQdB 2020)

Ma il nostro viaggio non può fermarsi, i nostri occhi corrono tra le selve di parole, la poesia ci mette le ali ai piedi e in un momento siamo in quello spicchio di terra che fa capolino nel Mar Giallo. In una città della Corea del Sud, a soli 30 chilometri dalla capitale Seul, si nasconde una fortezza. Lì vive un uomo morto e proprio per lui quelle mura sono state innalzate, intorno al 1794, da un grande re, Jeongjo, che ben sapeva quanto i morti amassero il calore di una casa. Il morto era proprio suo padre e anche lui, un tempo, era stato un nobile: il principe Sado. Troppo giovane per essere monarca, troppo nobile per essere un uomo qualsiasi, il principe morì nel più brutale dei modi: a causa dell’odio paterno. Il re Yeongjo infatti lo aveva rinchiuso in una cassa di riso e da lì il principe Sado non sarebbe mai più uscito. Il principe morì in una cassa di riso - quello stesso riso che poco fa abbiamo scorto crescere nelle risaie vietnamite - ma oggi riposa in uno dei patrimoni dell’umanità. Dal 1997 infatti la sua fortezza, la fortezza di Hwaseong, fa parte dei patrimoni dell’Unesco e anche se il suo abitante è ormai defunto, la solidità delle mura ci ricorda la sua fermezza di spirito, e come le parole di una poesia ci parla di lui attraverso i secoli. Il suo nome Sado, che significa “pensare con grande dolore”, non smette ancora oggi di respirare tra quelle pietre.

“Città di Re/ un’antica fortezza/ circondata da mura/ la storia di un padre crudele/ e di un principe infelice/ costretto a morire in una cassa di riso./ I verdi campi, la pace rassegnata / di chi vive solo nel ricordo” (Laura Garavaglia, Suwon)

Lasciamo gli antichi Re al loro riposo e guidati dalla poesia raggiungiamo l’Oriente più estremo e il Giappone, patria di una poetessa dall’aria molto seria, il cui nome non era quello che ancora oggi siamo abituat ad attribuirle: Murasaki Shikibu. Non vive nelle nostre pieghe di tempo, questa donna, il cui vero nome la Storia ha ormai inghiottito, ma possiamo trovarla spingendoci indietro negli anni, in un Giappone medievale in cui Murasaki è la dama di corte della bellissima imperatrice Shosi. Le donne all’epoca non potevano imparare a scrivere e questa piccola donna che in segreto tesseva storie di parole affascinò l’imperatrice al punto da farne la sua insegnante e da chiamarla “la nostra dama delle Cronache”. L’imperatrice Shosi, grazie a Murasaki Shikibu, imparò presto a scrivere e anche a farlo in cinese, la lingua maschile per eccellenza, perchè destinata alla diplomazia. Questa scrittrice che di nascosto molti uomini ammiravano per la superiorità della sua cultura, viveva infelicemente quella vita di corte così spinosa nei confronti di una donna capace di esercitare la sua arte creativa attraverso la scrittura. Morì così come era vissuta: riservata e austera, impegnata a studiare la letteratura e la religione, al fianco della sua imperatrice, ormai ritiratasi dalla vita di corte, sulle acque violette del lago Biwa. Ma l’eco delle sue poesie e dei suoi scritti attraversa ancora il Giappone e non lascia tregua alle orecchie degli studiosi, che in lei scorgono la caparbietà e il coraggio di cambiare il mondo, armata solo di parole.

“Combatto con la forza di un Samurai/ Sto combattendo anche oggi/ Sento il rumore/ Il nemico indietreggia/ E alla fine si ritira/ Sento il rumore/ L’Arcangelo guida i rinforzi/ Da un luogo lontano/ Appaiono sollevando una nube di polvere/ Anche se in una piccola fortezza/ Non dovrei arrendermi al nemico/ In guerra.” (Mariko Sumikura, Piccola fortezza)

Ecco, torniamo all’oggi e al qui, davanti ai nostri computer, chissà quale paesaggio vi sbircia dalle finestre ora che il nostro viaggio si è concluso. Vietnam, Corea del Sud e Giappone sono luoghi densi di storia, cultura e mistero per noi italiani, a volte un po’ insofferenti agli angoli di mondo. Se questi pochi minuti passati laggiù grazie alla forza evocativa della poesia vi sono piaciuti, non potete mancare il 9-10-11 ottobre, quando i poeti provenienti proprio da questi Paesi saranno ospiti al nostro Festival Internazionale Europa in Versi e, una volta ancora, ci faranno viaggiare con i loro versi. Kieu Bich Hau, Kim Kooseul, Choi Dong-Ho, Taeko Suemura e Mariko Sumikura vi aspettano!

Qui il programma completo.