“Ho inventato un bambino” , così si apre la poesia tratta da “Un bambino inventato” di Monica Aasprong, una testo in cui il racconto e il ritmo sembrano emergere da una storia popolare, una filastrocca, una nenia. La poetessa ha la capacità di unire azione e immagine dipanando nei suoi versi figure solo in apparenza rassicuranti ma che, in realtà, racchiudono l'antica cattiveria del vivere. Il fuoco, il ghiaccio, la luce, gli uccelli e gli animali prendono vita incarnando simboli più grandi di loro e accompagnano il lettore in un'atmosfera che, lentamente, riempie la poesia di quella conoscenza che non conosce, ma tenta ripetutamente l'appiglio ai perchè dell'esistere. Inventare un bambino, come a dire che la poesia, come la vita stessa richiede anche il rischio improvviso del gioco, la responsabilità di agire. Invenzione dunque, non creazione, per arrivare al paradosso stesso dell'atto poetico che, creando i suoi profondi feticci e le sue allusioni può anche dire: non è così facile,/dico io,/generare un volto/. Un volto che, da sempre, non è solo presenza ma specchio che riflette un'immagine la cui realtà è altrove.
commento critico di Wolfango Testoni