La poesia di Françoise Roy appare come una sorta di danza rituale che si pone su un universo parallelo al nostro. Molto vicino, ma parallelo. Dal nostro mondo trae immagini ed icone che diventano immediatamente archetipi in un teatro dell’Altro che è come un doppio della nostra realtà, ma trasfigurata. Così leggere la sua poesia dà l’impressione di procedere in un sogno dotato di una sua logica ferrea, che tuttavia non ci è mai completamente chiara. Su questa materia, ora così evanescente e ora terribile come un incubo, Francoise Roy avanza con il genio di un alchimista che tenta innumerevoli combinazioni, mescolando ricordi, fotogrammi di vita vissuta o solo immaginata e la ricorrenza ossessiva della morte, come segno di ineluttabile cambiamento. Una poesia incredibilmente varia, che oscilla fra un esasperato lirismo e la prosa poetica più accidentata per indicarci una serie di luoghi alternativi cui è facile approdare qualora si abbia il coraggio di seguire fino in fondo la strada delle nostre emozioni e delle nostre sensazioni.
commento critico di Andrea Tavernati