Laura Capra - Italia
Nella poesia di Laura Capra, giovane poetessa genovese, noi possiamo ascoltare una voce originale. Difficile inserirla nella grande tradizione ligure. Ciò che la avvicina è la passione per il destino umano tra realtà e incomprensibilità e l’amore per la parola come gioco sonoro, oltre che semantico. La lettura dei suoi versi induce la sensazione di un costante effetto di diffrazione, come quando si osserva un oggetto sott’acqua, e lo si vede in una posizione diversa da quella reale. Il distanziamento tra io e mondo, tra io e altro, è una realtà subìta, che porta la poetessa a interrogare le cose attraverso la parola e i sensi. Le risposte sono contradditorie e la verità non si offre chiaramente. Così la “militanza” di Laura Capra, è quella di una fiancheggiatrice, che, letteralmente, si mette a lato dell’essere senza identificarcisi completamente. Frequente l’ossimoro di una appassionata freddezza (le immagini di gelo e ghiaccio), di un distanziamento che si vorrebbe abbattere attraverso il calore della poesia. Ma le rime possono essere usate solo “di soppiatto”, di nascosto e i verbi, soppiantati. Quello che resta è sporgersi dalla balaustra per osservare il mare, senza viverlo.
NON VOGLIO NIENTE
La rabbia cullava la tua speranza
inoculata in bottiglie di vetro.
Come lacrime furtive temendo la sentenza del pianto
non un gesto
non un gergo.
Impantanata.
Emigrando a ricci sospesi nel mio mantra
a capofitto tra una sillaba in rivolta ed una conclusione definitiva
tra la rima in soppiatto ed il soppiantato verbo.
A piedi nudi
incrociando le assi del pavimento
dubitando dei sassi.
Parlando di te.
Vieni con me
parti con me.
Ma io non voglio niente.
Una poesia fragile
note autoritarie.
Scrivevo per mietere il mio grano
perché del tuo
nulla mi importava più.