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Qual è la situazione della poesia nel suo Paese?

Non direi che esiste una “situazione” della poesia italiana ma piuttosto tante “situazioni”, tante piccole o medie realtà (poche davvero grandi, a mio avviso) che - come spesso avviene nel nostro Paese, anche in altri campi - anziché coordinarsi e fare fronte comune, per costruire un unico importante centro di raccordo per la conoscenza e la diffusione della poesia, spesso neanche si conoscono tra di loro o, peggio ancora, si osteggiano, si mettono in competizione. Tali realtà, a volte, si riducono - anche all’interno della stessa città - a tenere comportamenti che rasentano i conflitti bellici, o quantomeno civili, alla stregua delle famose lotte intestine alla città di Firenze, tra Guelfi e Ghibellini. Questo avverto spesso e su questo, girando anche molto l’Italia per incontri poetico-letterari e organizzandone io stessa, mi trovo a riflettere con poeti di varia levatura che avvertono, come me, l’annoso problema.
Eppure, se parliamo di “situazione” qualitativa della poesia nel nostro Paese, non possiamo che esserne fieri. La poesia - a discapito dei suoi detrattori - non è affatto morta ma, al contrario, è viva e vegeta e raccoglie nelle sue fila tutta una serie di poeti che la frequentano con buoni, e spesso ottimi, risultati. Dal mio punto di osservazione, che è quello - come dicevo - anche di organizzatrice di eventi intorno alla poesia, dal momento che ritengo che, oggi, possa certamente convivere l’attività di poeta con quella di promotore culturale, mi confronto infatti sia con tantissimi autori, anche di varie discipline artistiche, sia con una varietà non comune di pubblico. La poesia del resto - ritengo sia cosa nota - senza un’adeguata promozione, una proposta anche in forme di lettura abbinata alle altre arti, come la pittura, la danza, la musica, non va molto lontano, fatta eccezione per quei pochi nomi che ormai sono ritenuti i nuovi maestri (pochi a dire il vero) e che, tra l’altro, tendono a trovare anch’essi nuove modalità di rapportarsi con il pubblico. Nel mio caso, dunque, trovo che la promozione della poesia attraverso gli eventi (penso alle serate organizzate con letture e musica, ma anche al ciclo di incontri “Un The con la poesia” realizzato presso il Grand Hotel Majestic di Bologna, e che arrivato ormai al quarto anno di attività, gode di ottima salute) mi abbia dato la possibilità sia di conoscere tanti autori della poesia contemporanea - creando una rete di esperienze e contatti - sia di conoscere attraverso lo studio delle loro opere (per le recensioni che curo presso la mia rubrica “Missione poesia” per il sito culturale italo-francese Altritaliani) buona parte di quello che viene prodotto in Italia in questo momento - e c’è tanta buona poesia - approfondendo la dimensione umana, poetica, stilistica, culturale di ogni autore e quindi arricchendo il mio stesso bagaglio in questi ambiti.

Pensa che la poesia sia uno strumento per avvicinare culture e religioni diverse?

La poesia è, da sempre, un mezzo comunicativo che fa parte dell’uomo e della sua stessa capacità immaginifica, onirica e spirituale se pure, per essere davvero sentita e compresa da tutti, ha bisogno del contatto con la realtà, ha bisogno di avvicinarsi alla concretezza delle cose e di rendere, attraverso i suoi strumenti retorici quali le immagini, i simbolismi, le allegorie e via dicendo, visibili e vere le corde e i sentimenti che va a indagare, che vuole proporre.
D’Annunzio diceva che il poeta deve essere testimone e profeta del suo tempo. E certo, nel nostro tempo - anche se sembra incredibile a dirsi - sussistono retaggi di lotte culturali e religiose che rimandano davvero a tempi lontanissimi ma che, tuttavia, è necessario affrontare con le dovute cautele del caso, senza sottovalutare nel modo più assoluto gli avvenimenti tragici a cui assistiamo, ormai, molto frequentemente. Al tempo stesso, sembra altrettanto incredibile, pensare a sovrani illuminati, il cui ricordo si perde nella notte dei tempi (uno per tutti, mi viene in mente, Federico II di Svevia, lo stupor mundi di antica memoria), capaci di aggregare intorno alle proprie Corti artisti di ogni genere e nazionalità, di ogni cultura e religione, per il solo scopo di produrre bellezza, di creare attraverso l’armonia del suono, della parola, dell’immagine una sorta di Universo da condividere, e nel quale ritrovarsi immersi nella ricchezza della diversità.
Cosa può fare il poeta, oggi? Ripensando alle parole di D’Annunzio certo, testimoniare attraverso una poetica di denuncia, di confronto, ma anche di rivisitazione delle proprie tradizioni, radici culturali e religiose, portare alla luce ciò che non può e non deve essere dimenticato, ovvero chi siamo, senza tuttavia calpestare o negare altre culture esistenti, sarebbe auspicabile. La forza di questa modalità espressiva dovrebbe, per produrre risultati, non essere unilaterale, ma essere frequentata dalle varie parti in causa. E questo mi sembra più difficile da ottenere, ma non impossibile. Molti poeti - molti artisti in generale - si sono rivelati anche profeti nel corso del tempo e questo perché, naturalmente, chi ha una maggiore sensibilità nel vedere le cose, non può non avere anche “una visione” che travalica la realtà soggettiva, che va oltre la dimensione temporale del momento, e porta a gettare lo sguardo oltre il famoso “colle leopardiano” per indagare l’infinito e ciò che da esso può nascere.
Per completare il ragionamento sulle possibilità comunicative della poesia è necessario pensare anche al pubblico che la frequenta, attraverso un’indagine che parte dall’esperienza maturata nel corso degli anni.
Il pubblico della poesia è eterogeneo e varia a seconda delle occasioni e dei contesti dove la si porta. Gli incontri dove è prevista una prenotazione, una dimensione salottiera, sono certamente più frequentati da persone più mature, più inclini all’ascolto perché ciò che viene proposto è servito in una situazione di maggiore confort. Le aule delle scuole sono la fucina delle idee giovanili, delle contestazioni ma anche degli innamoramenti - se il poeta riesce ad essere innamorato lui stesso della poesia -. Le piazze, dove ti trovi ad affrontare 300 -400 persone - e a me devo dire è capitato - ti donano la magia della condivisione e del coinvolgimento maggiore, se riesci a stabilire col pubblico una connessione mentale talmente forte da capire che tutti sentono all’unisono, e che te ne andrai da lì molto più ricco, così come loro. Spesso ho davvero sentito la magia di questa consonanza con il pubblico, l’ho sentita talmente forte da impressionarmi, da farmi pensare a un’intermediazione non umana, da farmi riflettere sull’importanza del rapporto che si crea tra l’autore e il lettore, in quella fase dell’immedesimazione letteraria dove i due protagonisti si fondono in un tutt’uno con il testo. E’ quasi un’esperienza mistica, forte, difficile da dimenticare. Non so se è così per tutti gli autori. A me succede. E, certo, se si riuscisse a creare questo clima di condivisione, con testi forti, che arrivino al cuore di tutti, capaci di affrontare le tematiche sopra accennate, non è da escludere che il compito della poesia, perché la poesia non è cosa vana ma ha un suo ruolo nel mondo, potrebbe dirsi, in quelle occasioni, compiuto.

Il linguaggio oggi si è impoverito: la poesia può ridare valore alla parola?

Non direi che l’uso del linguaggio si sia impoverito nel suo complesso. Forse di più nella modalità parlata e colpa ne hanno, principalmente, le tipologie di comunicazione tecnologiche che, attraverso la brevità e l’immediatezza che intendono professare, hanno creato tecniche riduttive e/o sincopate di messaggistica. Inevitabilmente questo, specie nei giovani che ne sono i massimi fruitori, si riflette anche sulle espressioni verbali creando un gergo quasi da esclamazioni fumettistiche. Nella modalità scritta e letteraria - se pure certo non possiamo pensare di ritrovare la ricchezza linguistica che fu di un Manzoni, o di alcuni dei nostri grandi narratori e poeti della prima metà del ‘900 - trovo tuttavia che si tenda, non solo a mantenere uno stile elevato - non parlo naturalmente dei best seller di immediata visibilità, quanto di poca concreta durata - ma che addirittura, ragionando proprio su molta della nostra poesia, si tenti continuamente di amalgamare la lingua nota e comune a molte dimensioni peculiari di linguaggi, andando a indagare nuovi campi semantici, nuove possibilità di lemmi e riferimenti, fino all’uso di tecnicismi metaforici, simbolismi con correlativi oggettivi che approdano al quotidiano e così via, con risultati sorprendenti che denotano una tenuta e un rinnovamento della lingua stessa.
Del resto, l’uso che un poeta fa della lingua contraddistingue la sua capacità di apportare un valore aggiunto al linguaggio stesso utilizzato dalla comunità che lo contiene. Questo hanno fatto molti grandi poeti, tra i quali non posso non citare quello che ritengo sopra tutti, a parte il sommo Dante, il mio maestro, Giorgio Caproni. Tanto per fare un esempio che mi riguarda da vicino, così come dice G. Lauretano nella prefazione al mio libro Incontri e Incantamenti, ecco che anche la lingua della mia poesia risente dell’ascolto di questo grande poeta e del suo percorso di ricerca linguistica “che sembra essere stato sempre più centrale e decisivo nelle vicende della poesia italiana del Novecento”, ricerca che egli compiva in quanto avvertiva “l’inadeguatezza della tradizione, diciamo per semplificare petrarchesca” che, se è stata risolta da una parte “con lo sperimentalismo delle (neo) avanguardie, dall’altra (lo è stata) con una ricerca più intima, profonda, fatta di scarti apparentemente minori, il cui risultato è però assai più incisivo nella direzione di una modernizzazione dell’italiano poetico. Esemplarità di Caproni, appunto.” In questo libro (ma non solo in questo), in effetti, oltre ad altri elementi, condivido con il maestro l’uso di una lingua che ricerca complicità con il lettore.
Interessante, da un punto di vista della verifica della lingua usata dai poeti contemporanei in Italia e per lo studio, rivolto in particolar modo agli studenti universitari, delle nuove modalità comunicative della poesia, la nascita dell’Atlante della poesia contemporanea online, Ossigeno nascente, curato per l’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna da Giancarlo Pontiggia, Alberto Bertoni, Marco Marangoni e Gian Mario Anselmi.

La poesia nel mondo dei giovani: quale futuro?

Trovo che nel panorama poetico contemporaneo in Italia, vi siano molti giovani promettenti sia a livello di interesse che di impegno per la scrittura poetica. La poesia, come dicevo anche sopra, non è affatto morta e attecchisce anche in molti ambienti giovanili dove viene letta, studiata, commentata, praticata. Secondo me non sono neanche dei casi tanto isolati, da quello che percepisco. Certo, molto dipende dalla capacità, di nuclei familiari e organismi scolastici, di seminare tra le giovani generazioni il seme della poesia stessa; di far comprendere il valore che racchiude nella nostra tradizione, non solo letteraria ma anche culturale, la lingua poetica con le sue sfumature ondeggianti tra il significato e il significante; di stimolare la curiosità alla conoscenza dei grandi autori; di instillare la voglia di indagare dentro se stessi per comprendersi meglio e arrivare di seguito a comprendere meglio gli altri, proprio attraverso la pratica della poesia, così come insegna il maestro a cui accennavo prima, Caproni, quando dice: “la poesia è una ricerca di se stessi per arrivare a capire cosa sono gli altri, il poeta è come un minatore che dalla superficie, ossia dalla autobiografia, scava, scava finché trova in fondo un proprio io che è comune a tutti gli uomini, insomma scopre gli altri in se stesso…” .
Pensando quindi a un possibile “futuro” della poesia tra i giovani, o per i giovani, non possiamo non riflettere sul fatto che il futuro non è un tempo a se stante, ma viaggia a braccetto con il passato e con il presente e che per la poesia, come per ogni altra questione, vale la dimensione di poter raccogliere quanto si è saputo seminare.
La cosa che forse può scoraggiare dall’apprezzamento immediato dell’arte poetica, un giovane, abituato oggi all’immediatezza del rapportarsi con strumenti comunicativi altamente tecnologici, sia d’immagine che di linguaggio, sta nel fatto che un percorso poetico (che alla fine diventa artistico-culturale) non si crea dal nulla ma che, oltre alla lezione di Caproni sopra riportata, questo presume e prevede un lungo lavorio interiore, che parte da riflessioni, da lunghe assimilazioni, interiorizzazioni che portano al compimento di un’opera poetica e/o della comprensione di essa. Perché di questo si tratta. Del resto, leggendo le biografie, ascoltando le confessioni dei grandi autori, poeti con cui conviene confrontarsi - penso oltre al già più volte citato Caproni, anche a Ungaretti, Emily Dickinson, Sibilla Aleramo, Montale, Saba… e ai poeti del primo 900 come Pascoli, D’Annunzio, Palazzeschi, per non scordare il padre di tutti, il nostro Dante - non possiamo che ritrovare questi percorsi lunghi e laboriosi, che possono durare anche dei mesi prima di concretizzarsi in parole di senso buttate sulla carta perché, se il primo verso di un componimento può anche essere dato, il resto è frutto di lavoro, disciplina, esperienza, ricerca, anche se certe volte tutto può sembrare fluire in modo spontaneo. Poesia insomma come alleanza tra qualità, ispirazione, disciplina a lingua… Percorsi lunghi e complessi ai quali è difficile abituarsi, come detto, nella società fluida dell’immediatezza se pure, ripeto, fortunatamente, mi imbatto spesso in giovani autori e/o giovani lettori interessati e partecipi al dialogo poetico contemporaneo.

La poesia sui social network: qualità o spazzatura?

Alzi la mano chi di noi, poeti affermati o meno, non ha mai scritto (o non ha mai gioito di veder scritta) una propria poesia su facebook, linkedin, twitter e via discorrendo, sui vai social network che ormai fanno parte, inevitabilmente, del nostro modo di comunicare quotidiano… Personalmente mi ritengo abbastanza neutrale nel considerare un valore o meno l’uso di questi mezzi per la divulgazione della poesia, rilevandone i pro e i contro. Mi spiego. Come ogni forma di comunicazione anche i social hanno i loro lati positivi: raggiungono in contemporanea decine, centinaia, migliaia di persone; quanto scritto è reso immediatamente visibile e specie se abbinato ad un’immagine - che si spera attinente al testo, altrimenti distoglie l’attenzione su se stessa - arriva a produrre il suo scopo, che dovrebbe essere quello di far conoscere e apprezzare il contenuto; restano nel tempo e sono rileggibili (almeno per adesso) nonché ritrovabili e usufruibili in ogni momento, attraverso la ricerca con qualsiasi mezzo elettronico disponibile, dal cellulare al Pc. Fra i lati negativi dell’uso dei social non possiamo non citare il narcisismo, spesso abbinato alla poesia pubblicata, ed evidenziato: dall’uso di immagini improprie abbinate al testo; dalla diffusione di una stessa comunicazione sui vari gruppi o sulle varie pagine di cui l’autore fa parte - creando una sovraesposizione spesso ridicola, nonché inopportuna, perché le notifiche arrivano a più riprese alle stesse persone che ne fanno oltremodo parte -; dalla tipologia di testo scritto che - molto spesso creato per l’occasione - denota la poca valenza dello stesso, per brevità, mediocrità, o peggio, per convinzione di ritenere quanto scritto un capolavoro sentenziale di cui non si poteva fare a meno.
Detto questo, non sono certo dell’idea che i social possano sostituire il libro cartaceo - così come, a parer mio, non lo sostituirà mai la modalità in ebook - perché - nonostante anch’io usi come tutti quanti, i social suddetti - appartengo ancora a quella schiera di fedelissimi che credono nel valore dell’oggetto “libro”, che assaporano le sensazioni tattile, visiva, olfattiva di tenere un libro fra le mani e poterlo gestire come un prezioso alleato per la propria formazione, per la propria conoscenza, per il piacere di sentirsi parte di una comunità reale e non solo virtuale, per un legame d’amore indissolubile, nato da quando ebbi tutto per me il primo che mi venne regalato (e che ancora conservo) e che durerà… finché morte non ci separi.

la poetessa Cinzi Demi
La poetessa Cinzia Demi

La poesia di Rubén Darío Lotero ha la crudeltà e l'asciuttezza delle cose vere, delle cose che si toccano. Poesia ruvida come la terra, come il paese con i suoi vicoli lucenti, le sue stanze, i suoi televisori e le sue povere cose di ogni giorno. Ambiente rurale o periferico dove le finestre vedono e le biciclette sono legate con catene che sembrano lì da sempre nelle le strade, nei campi e addosso gli uomini che li lavorano. La vita e la morte, come a dire la speranza e la cronaca, sono espresse in versi che delimitano l'azione in tutta la sua gioia o crudeltà: Lentamente/tra le giunture dell'asfalto/ scorre il sangue/(due poliziotti stendono un nastro/Per impedire il passo)/ . E sembra di vederla questa scena perché la parola è solida e i commenti del lustrascarpe cascano come sassi sul selciato. La poesia di Lotero sembra emergere come prova di vita che annuncia ad ogni verso la vita stessa fatta di destini e stupori. Una poesia che non si rassegna ma mostra e indaga lo stupore di un'esistenza che potrebbe anche essere migliore.

commento critico di Wolfango Testoni

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Qual è la situazione della poesia nel suo Paese?

Il mio Paese è diviso in cinque diverse regioni geografiche e ciascuna di esse a sua volta al suo interno ha vari gruppi di popolazioni. Nel mio Paese convivono bianchi, neri, indios, ma per la maggior parte siamo meticci. Ciò che ci accomuna è la lingua castigliana, ereditata dagli spagnoli di lingua castigliana. Ma le espressioni poetiche, artistiche e culturali hanno avuto differente sviluppo più regionale e isolato le une dalle altre. Ora, ogni volta si pubblicano meno poesie sui mezzi di pubblicazione di massa. Pochi acquistano libri di poesie. Nelle scuole, nei collegi, nelle università non si nominano più i poeti né si citano. La diffusione della poesia avviene grazie a piccoli gruppi. In laboratori letterari che si tengono nelle biblioteche che pochi frequentano, o nelle case di cultura in città o nei villaggi. Certo esistono eventi che attraggono un pubblico vario, come i festival di poesia che si organizzano nelle grandi città, dove si invitano poeti locali e stranieri, che attirano vari tipi di pubblico. Ma una volta concluso lo spettacolo, si dimenticano subito le poesie. Chi scrive poesia nelle città, nei campi, nelle foreste del mio Paese? Forse molti giovani, forse pochi, ma non valicano i confini del loro territorio o raggiungono i loro amici sui social network. Si scrive e si legge velocemente e si dimentica. La poesia, così come viene scritta e letta da coloro che appartengono alla mia generazione, sembra cosa del passato.

Pensa che la poesia sia uno strumento per avvicinare culture e religioni diverse?

Credo che l’espressione artistica in generale e la poesia in particolare, se ben tradotta, avvicini gli uomini, nonostante le lingue diverse, se esprimono con chiarezza e verità i sentimenti e le esperienze dell’essere umano.

Il linguaggio oggi si è impoverito: la poesia può ridare valore alla parola?

Certamente. È la sua missione, il suo significato più profondo. Fare in modo che la parola continui a condurre lo spirito di un gruppo sociale. Che la parola crei la realtà e il mondo. Che la parola “nomini”, battezzi, come fosse la prima volta.

La poesia nel mondo dei giovani: quale futuro?

Bene, voglio rispondere alla tua domanda con un testo che ho scritto alcuni anni fa:
Problemi dei giovani
…poeta è chi vede la vita con gli occhi dell’infanzia.
O a volte con quelli dell’adolescenza.
José Manuel Aragno

Più di quarant’anni fa, nel ’74, quando avevo appena iniziato i miei studi di letteratura, con un gruppo di amici che si conoscevano sin dai tempi del liceo,eravamo soliti camminare durante il fine settimana sulle colline e montagne che circondavano la valle dove sorge la città di Medellin.
Vaghi desideri ci spingevano a farlo: quello di uscire dai confini, la lettura a casa; quello di poter accompagnare un amico che non vedevamo da giorni; quello di raggiungere camminando la cima per vedere la città dall’alto. O il desiderio di qualche avventura per intravedere i paesaggi dall’altro lato del muro.

Questa è una città murata
tra le montagne; uno guarda attorno,
alzando la testa e vede solo

la linea azzurra dei monti,
le loro cime lontane: è il bordo di un bicchiere
rotto
e nel fondo del bicchiere sta la città
chiusa, dura
il mare è lontano. [1]

Una domenica decidemmo di scalare la montagna, che nel secolo scorso chiamavano giustamente Sabanalarga, e che oggi sappiamo che da lì passa la strada che porta al villaggio di San Pedro, a occidente.
Dalle nostre case, nella valle vicina, raggiungemmo il borgo di Robledo e da lì salimmo, lungo le rotaie attraverso residenze estive fino a Pajarito. Girammo a destra per passare dietro la montagna del Pichaco. Attraversammo vaste praterie e piccole e recinzioni fino a un bosco di alberi che crescono nelle zone fredde
Dietro era rimasto il rumore della città:[2]:
C’è un luogo sulla montagna- vicino ad un avvallamento- dove il fragore della città si ode con una nitidezza allucinata. Forse le pareti rocciose lo avvolgono con un effetto a chiocciola per poi restituirlo accresciuto
Rimbomba come un tuono, come molti zoccoli che trottano, un disordinato branco di bestie .

Ci sedemmo sotto un albero a riposare. Poi uno ha prese dalla sua borsa un libretto quadrato nel quale c’erano delle sfere incollate e aprendolo, lesse con delle pause, coeme chi gusta un frutto : [3]

se a metà notte
ci sveglia l’odore di un incendio
e apriamo la finestra e tra gli alberi
che fanno ombra fitta c’è solo il profumo
della frutta che matura
cha altro se non la gioaia dolorosa
di aver visitato una volta
i rossi cherubini di fuoco.

Ora, per la magia delle parole, abitava nella notte una casa profumata.
Già i libri, specialmente quelli di poesia, erano i nostri compagni di viaggio. Il mio amico scorse alcune pagine e come chi cammina guardando chi gli sta attorno, pronunciò parola per parola:

ragazze che viaggiano addormentate
sui treni notturni
una città divisa da un fiume
e il paese del tuo viso
immagini fedeli alla terra

[1]Arango, José Manuel, Poemas, 3ª. Edición, , Ediciones Autores Antioqueños, Secretaría de Educación y Cultura de Antioquia, volumen N° 62, Medellín, 1991, pág.
[2] Poema tomado de Este lugar de la noche, Colcultura, Bogotá, 1984, pág. 16.
[3] Ibídem, pág 21

Torniamo di novo in città, ma per lasciarla di notte su un treno. La nostra guida chiuse il libro. Io lessi sulla parte incollata: Questo luogo della notte. Manuel Aragno. Seppi più tardi che era la sua prima opera e che a 36 anni l’aveva pubblicata a sue spese “ per vedere i versi stampati”. Il mio amico guardò il libro nella borsa. Noi ci alzammo in silenzio, pensierosi e attraversammo la foresta ombrosa. Usciti alla luce trovammo una inaspettata immagine da sogno: tra dolci colline e filari di eucalipti e pini si apriva una piccola valle di pascoli verdi. Qualcuno esclamò meravigliato: “La Piana delle Pecore!”
Sembra un paradosso, ma vedo una maggiore somiglianza con i giovani di oggi con questa esperienza della mia giovinezza che con i contemporanei di quarant’anni fa.
Vogliono tornare alla semplicità, all’essenziale, all’umano, è un sentimento estetico poetico.

La poesia sui social network: qualità o spazzatura?

Non so. Preferisco leggere poesie su un libro stampato che su una pagina web. La carta ha ancora una magia speciale per me. Leggo poco sui blog, ma sono contento quando un amico mi manda una poesia che mi piace, o varie, di un poeta sconosciuto o che conosco. Lo sento come un regalo, una scoperta. Ma è più facile perdersi nel fiume di immagini o di parole che ogni giorno ricevo su Facebook e Whatsapp.

il poeta Ruben Dario Lotero

“Ho inventato un bambino” , così si apre la poesia tratta da “Un bambino inventato” di Monica Aasprong, una testo in cui il racconto e il ritmo sembrano emergere da una storia popolare, una filastrocca, una nenia. La poetessa ha la capacità di unire azione e immagine dipanando nei suoi versi figure solo in apparenza rassicuranti ma che, in realtà, racchiudono l'antica cattiveria del vivere. Il fuoco, il ghiaccio, la luce, gli uccelli e gli animali prendono vita incarnando simboli più grandi di loro e accompagnano il lettore in un'atmosfera che, lentamente, riempie la poesia di quella conoscenza che non conosce, ma tenta ripetutamente l'appiglio ai perchè dell'esistere. Inventare un bambino, come a dire che la poesia, come la vita stessa richiede anche il rischio improvviso del gioco, la responsabilità di agire. Invenzione dunque, non creazione, per arrivare al paradosso stesso dell'atto poetico che, creando i suoi profondi feticci e le sue allusioni può anche dire: non è così facile,/dico io,/generare un volto/. Un volto che, da sempre, non è solo presenza ma specchio che riflette un'immagine la cui realtà è altrove.

commento critico di Wolfango Testoni

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Qual è la situazione della poesia nel Suo Paese?

Vivo a Stoccolma (in Svezia) ma sono norvegese e pubblico la mia poesia in Norvegia. Quindi sono strettamente legata a due scene letterarie, e a queste si potrebbe aggiungere anche quella danese. Per quanto riguarda la poesia i tre paesi scandinavi sono tutti connessi dalla lingua: siamo in grado di leggerci l'un l'altro, e lo facciamo, quindi ci sono molte diverse influenze e varie forme di espressione. In Svezia e in Danimarca le cosiddette pratiche concettuali hanno avuto una posizione prominente fin dagli anni Sessanta, ma con la generazione più giovane queste hanno raggiunto anche la Norvegia, quindi ora abbiamo una grande varietà di poetiche che coesistono fianco a fianco. C'è una flora piuttosto ricca di festival e riviste letterarie, per quanto i giornali sembrino dedicare sempre meno spazio alla poesia.

Pensa che la poesia sia uno strumento per avvicinare culture e religioni diverse?

Devi essere libero per creare, e penso che questa libertà si possa sentire anche quando si recepisce una poesia. Sta tutto nel sentire e questo significa essere aperti, aperti a qualcosa fuori di sé. Quando si sostiene una causa, per esempio quando scrivi un articolo sul giornale, non importa quanto buoni siano i tuoi argomenti, spesso tendi a convincere solo quelli che sono già d'accordo con te. Il testo discorsivo si rivolge ai nostri centri intellettuali, e lì abbiamo un sacco di strategie di difesa. La poesia ha un'altra possibilità, poiché a differenza di religione ed ideologia la poesia non ha risposte. la poetessa palestinese Somaya el Sousi, che vive a Gaza, l'ha detto in modo bellissimo durante la sua visita a Stoccolma 4 anni fa: “il poeta cerca una risposta nella testa del lettore – con la musica come guida”.

Il linguaggio oggi si è impoverito: la poesia può ridare valore alla parola?

Ci sono così tanti campi – ideologico, commerciale, religioso ecc. - in cui il linguaggio cerca di manipolarti: è quindi un grande sollievo entrare in una zona senza un'agenda prestabilita, o almeno senza un significato fisso, senza una modalità di espressione prestabilita. L'autonomia delle estetiche ha sempre sfidato il potere, dalla destra alla sinistra, quindi credo ci sia un grande potenziale nella stessa forma, nella modalità di espressione.

La poesia nel mondo dei giovani. Quale futuro?

Le espressioni sono destinate ad essere connesse ad impressioni, quindi è importante permettere ogni espressione, non cercare di definire rigidamente cosa costituisce un poema, la poesia; è importante lasciare una nuova generazione trovare la propria strada.

La poesia sui social network: qualità o spazzatura?

I'm not on social medias myself, so I don't really know, but I guess it has the same possibility as any form to bring quality. The social medias and the net has influenced our relation to text (whether we're on social networks or not), and it seems natural that it takes the role as a new tool - and a new space - a supplement to what is already there.
Personalmente non sono sui social media, quindi non so davvero per certo, ma immagino che abbiano la stessa possibilità di qualsiasi altra forma di essere vettori di qualità. I social media e la rete hanno influenzato la nostra relazione con il testo (non importa se utilizziamo o no), e sembra naturale che assumano anche il ruolo di un nuovo strumento – e un nuovo spazio – un supplemento a quello che già c'è.

La Sua poesia ha spesso qualità più tipiche dell'arte rappresentativa. Come vede questo aspetto della Sua produzione? Si considera più un poeta o un artista a tutto tondo?

Mi considero primariamente un poeta, o una scrittrice, quanto meno il mio punto di partenza si trova nella letteratura. Sono stata studente ospite in diverse scuole d'arte, e nel mio lavoro ho esplorato i confini sia verso le arti visuali che la musica, ma sono le parole – il suono e l'aspetto del linguaggio – e anche il livello semantico e simbolico delle parole – che sono al centro del mio cuore e della mia mente quando creo.

Foto di Monica Aasprong
[/media-credit] La poetessa Monica Aasprong

Sono ora disponibili un'intervista fatta a Giovanni Darconza ed un commento critico sulla sua poesia.

Con il nuovo anno è iniziato il conto alla rovescia che ci porterà ad Europa in Versi 2017: mancano 8 settimane al tanto anticipato Festival, che si terrà il 7 e l'8 aprile.

Nell'attesa vi aiuteremo a conoscere meglio i poeti ospiti dell'edizione 2017, presentandovene uno ogni settimana. Oggi il protagonista è Giovanni Darconza, poeta, professore e traduttore, con un interesse particolare per l'America Latina.

Butterfly on a flower

La poesia di Gianni Darconza è poesia civile nel senso non solo più alto ma più moderno del termine, prendendo atto che la nuova filosofia, cioè il nuovo modo di interpretare il mondo –in realtà già da un bel pezzo- si chiama scienza, e il problema veramente grosso, di cui ancora non vogliamo renderci conto, è di come questa mutata prospettiva abbia anche cambiato, che ci piaccia o no, il nostro modo di vedere le cose, il nostro rapporto con la natura, con il quotidiano e anche con gli altri, finanche con l’amore. In "Oltre la lastra di vero" Gianni Darconza, come un novello Lucrezio, prova ad aprirci gli occhi, con una discorsività volutamente piana e diretta, ma pronta ad impennarsi verso la dignità retorica dell’endecasillabo. Strizzando l’occhio a tanta divulgazione scientifica, ma volgendo il suo dettato sempre verso il piano etico, coinvolge il lettore nel tentativo di rispondere alla domanda: che significa tutto questo per i nostri sentimenti, per le nostre povere emozioni? Scopriamo insieme a lui che, se perfino il linguaggio della scienza ne è inguaribilmente innamorato, di sentimenti ed emozioni, appena prova a darci qualche lume in più le cose invece si ingarbugliano, fra gatti vivi e morti allo stesso tempo, particelle che fanno la ruota del pavone solo se qualcuno le guarda e quando non succede non si sa più in quali faccende siano impegnate. Insomma, punto e a capo. Non resta che esserne coscienti, magari con una spruzzata di sana ironia.

commento critico di Andrea Tavernati

Picture of a sea wave

Qual è la situazione della poesia nel suo Paese?

Ho l’impressione che in Italia la poesia sia appannaggio di una selezionata minoranza, sia di scrittori che di lettori. Vi sono poeti degni di rilievo, ma spesso la loro fama è circoscritta all’interno degli angusti ambiti nazionali. La poesia non riesce ad essere fenomeno “di massa” in grado di coinvolgere un vasto pubblico. Qualcuno potrà dire che è la normalità, e che la situazione italiana non differisce da quella di altri paesi europei. Ma è anche vero che esistono realtà lontane da quella europea dove la parola poetica conserva ancora un fascino e una magia capaci di coinvolgere numerosi appassionati. Mi riferisco al caso dell’America Latina, che per ragioni di lavoro (sono anche traduttore all’italiano di poeti latinoamericani del Novecento) è la realtà che meglio conosco. Ho assistito a letture in presenza di centinaia di ascoltatori, di tutte le età ed estrazione sociale. Ho appreso che nelle periferie più disagiate di alcune grandi metropoli si tengono laboratori di poesia e di scrittura creativa per aiutare i ragazzi ad uscire da realtà squallide caratterizzate da miseria, violenza e narcotraffico. Per queste popolazioni la figura del poeta non è marginale, bensì viva e determinante, dal momento che la poesia conserva ancora un’importante funzione sociale. Vi è ancora la convinzione che si possa cambiare attivamente la realtà attraverso la parola. Da noi invece vige il pregiudizio che la poesia sia qualcosa di accessorio, inutile e improduttivo. E in una società improntata sul materialismo e il consumismo, se non si vede l’utilità di qualcosa, essa viene abbandonata per altre attività più pratiche. Il mio discorso naturalmente non vale solo per la poesia, ma si estende a tutte le attività umanistiche. Ed è un concetto pericoloso, ancor più se pensiamo che l’Italia è il paese di Dante, Petrarca e Leopardi. Credo che invece di rinchiudersi in se stessa, la poesia italiana dovrebbe aprirsi maggiormente ad altre culture e lingue. La soluzione a questo problema esiste: favorire la creazione e la diffusione di riviste poetiche (anche digitali) e ampliare il numero di eventi e manifestazioni internazionali, attraverso i Festival di poesia. Ma per fare questo c’è bisogno di finanziamenti privati o statali, e purtroppo la società italiana, al di fuori di due o tre autori di best seller (e tra essi non credo che figurino dei poeti) non sembra interessata a favorire la diffusione della propria cultura.

Pensa che la poesia sia uno strumento per avvicinare culture e religioni diverse?

Sono dell’avviso che la poesia, qualunque sia il suo messaggio o la lingua in cui è scritta, sia sempre un atto di pace e tolleranza. La poesia, diceva Neruda, nasce dalla pace come il pane nasce dalla farina. C’è un bel aneddoto messicano che esemplifica molto bene lo stretto rapporto che esiste tra pace e poesia. Nel 1490 Tecayehuatzin, Signore di Huejotzinco, convocò una riunione di tutti i saggi del mondo nahuatl, a seguito di un massacro di 80’000 (non è un errore, proprio ottantamila!) persone sacrificate anni prima per celebrare l’inaugurazione del Tempio Maggiore del complesso di Tenochtitlan (su cui sarebbe poi sorta l’odierna Città del Messico). La ragione dell’incontro era rispondere a un quesito fondamentale: che cosa c’è di veramente importante sulla terra? I saggi riuniti in quell’occasione giunsero alla conclusione che, al di sopra di ogni piacere, ricchezza o potere, la poesia era l’unica cosa che valesse la pena coltivare, perché costituiva il tesoro più prezioso delle civiltà preispaniche. La poesia era l’unico scudo per resistere alla violenza e alla morte. Oggi più che mai dovremmo recuperare questo messaggio, perché la poesia, come la musica, è un fenomeno universale, ben al di sopra delle differenze di razza, religione e cultura.

Il linguaggio oggi si è impoverito: la poesia può ridare valore alla parola?

Qualcuno ha detto che nel mondo moderno si è rotto il patto tra mondo e parola, per cui spesso le parole più che a illuminare servono a ingannare e a confondere. Ma è probabile che la parola pura, se mai c’è stata, sia stata quella di Adamo nel Paradiso Terrestre, quando decise di nominare tutte le cose del creato. Tuttavia Adamo è morto e morto è il suo giardino. La storia della Genesi non è solo la parabola della caduta dell’uomo dal suo stato di innocenza, ma è anche la parabola della caduta della parola dal suo stato di purezza originaria. Credo che il compito del poeta sia quello di ricercare quell’antica, mitica purezza. Il poeta deve essere un nuovo Adamo che torna a nominare le cose del creato come fosse la prima volta, ben sapendo di vivere in un mondo che non è più quello dell’Eden. La Poesia aiuta a ricercare dietro le parole il perché delle cose. La poesia non solo arricchisce interiormente, ma anche esteriormente. Per ogni parola che viene dimenticata o non viene più usata noi perdiamo un frammento di universo. Perché il linguaggio è il contatto più stretto tra il nostro io interiore e l’universo che c’è fuori. La poesia è determinante nel favorire un contatto privilegiato tra queste due realtà.

Per questo motivo amo particolarmente le metafore che si rifanno al mondo della matematica e della fisica moderna. Perché anch’esse, come la poesia, indagano sulla realtà. Queste due culture, apparentemente lontane, se si analizza bene la questione, non lo sono poi così tanto. Penso a un poeta come Sinisgalli quando paragonava la scoperta dei numeri immaginari nella matematica con la poesia. Così come l’operatore immaginario “i” (puro ente di “finzione” della matematica, ma con conseguenze reali notevoli anche nel campo della fisica) dava un senso, un’inclinazione al numero che di per sé è inerte e orizzontale, traducendolo in una forza, allo stesso modo le parole per formare un verso devono avere una particolare “inclinazione”. In altre parole l’operatore immaginario diventa una metafora perfetta per indicare l’alterazione provocata dal linguaggio sulla realtà, il rapporto tra “cosa” e “immagine”. Anche Calvino sosteneva che la letteratura che si nutre delle scoperte della scienza, si arricchisce di un patrimonio di metafore che permettono di accostarci al reale.

La poesia nel mondo dei giovani: quale futuro?

Il linguaggio trova oggi nei social media e nei mezzi di comunicazione di massa tanto amati dai giovani un grande rischio e pericolo: quello di impoverirsi e di farsi stereotipato e ripetitivo. Non sono contro le nuove tecnologie, ben inteso (non so se riuscirei a fare a meno del computer). Ho solo parlato di rischio. Il fatto è che le nuove generazioni sembrano fare uso sempre più della valuta corrente, la moneta dell’effimero. La poesia si muove su un terreno opposto. Cerca, in mezzo all’effimero, ciò che non è effimero per dargli spazio e farlo durare. Per questo credo che le nuove generazioni debbano accostarsi alla poesia senza timori reverenziali e senza pregiudizi. Ho assistito a Festival di poesia in America Latina e mi sono reso conto del grande valore della Poesia presso i giovani in quelle terre. In Italia, l’impressione è che in generale la poesia non venga letta dai giovani, perché considerata difficile o inutile. Questo dipende, secondo me, dall’educazione ricevuta a scuola. Sono dell’avviso che si debba insegnare a leggere la poesia fin dalle elementari, plasmare le menti giovani a cogliere la bellezza di un verso, la sonorità di una parola, l’eleganza di una metafora. Leggere una poesia non è farne una parafrasi per capire il significato. Talvolta è preferibile non spiegare il significato (se mai ne esiste uno univoco: le poesie migliori sono ambigue e polisemiche) e lasciarsi trasportare dai suoni e dalle immagini che una poesia evoca. Per questo motivo non considero eccessivo far leggere poesie di Montale, Neruda, Ungaretti, Dickinson già nella scuola primaria. Per cui sono convinto che il risveglio dell’interesse della poesia nei giovani sia in gran parte nelle mani di insegnanti e docenti.

Per quanto riguarda il dilemma sulla presunta “utilità” della poesia, credo che sovente il vivere quotidiano arrivi a occupare inesorabilmente i nostri pensieri, al punto che molte cose importanti del vissuto si eclissano dalla nostra coscienza. Tuttavia vi sono esperienze che, per quanto tempo possa passare e per quante cose possano accadere, non riusciamo mai a dimenticare del tutto. Questi eventi rimangono impressi dentro di noi come “pietre miliari” della nostra traiettoria vitale. La poesia implica il recupero di questi momenti fondamentali dell’esistenza nella costruzione e nella crescita dell’io. Sono dell’avviso che una delle ragioni principali della poesia sia quella di conferire a certi ricordi un significato speciale, che magari era assente nel momento in cui gli eventi si sono verificati. Il significato di tali momenti non avviene immediatamente, ma in un secondo tempo, quando grazie alla memoria si imprime sulla pagina attraverso la scrittura. Inoltre concordo con Seamus Heaney quando dice che scopo della poesia è anche di convogliare (nel poeta e nel lettore) una sensazione di ordine, di darci l’impressione che per la durata della poesia, la nostra percezione del mondo sia nell’ordine “giusto”, anche se poi il mondo dovesse seguire un corso caotico e disastroso.

La poesia sui social network: qualità o spazzatura?

Internet e i social network sono solo dei mezzi, e come tali possono rivelarsi utili o dannosi a seconda dell’uso che se ne fa. Sono dell’idea che i social media siano una risorsa da sfruttare, poiché, in una situazione editoriale moto complicata come quella attuale, possono estendere notevolmente la diffusione della poesia. Vi sono riviste digitali ormai imprescindibili, in cui quotidianamente vengono presentati autori, già affermati o ancora sconosciuti, a un pubblico di lettori sempre più vasto (penso ad esempio alla messicana Círculo de poesía). Dunque internet può essere una vetrina preziosa e insostituibile soprattutto per chi ancora deve farsi conoscere. È vero anche che c’è molta spazzatura, ma io tendo a essere ottimista e confido nelle capacità del lettore nel trovare, in mezzo alla spazzatura, anche i gioielli nascosti tra le pagine virtuali. Come per i libri, alla fine è il lettore a dover selezionare e compiere le proprie scelte, in base ai propri gusti. In tal senso internet e i social media ampliano enormemente questa possibilità di scelta.

Foto di Giovanni Darconza
Il poeta Giovanni Darconza

Giovanni Darconza was born in San Gallo, Switzerland, in 1968. He is a poet, a storyteller, a translator and a professor of Literature at the Carlo Bo University of Urbino. He published the collection of poems “ Beyond the glass sheet” (2006 – winner of the “Jacques Prévert” 2006 competition), the novel “Searching for Nobody” (2007), the short-stories collection “The man in black and other wastes” (2009) and the children's tale “The word thief” (2013, Frontino Montefeltro Award 2014). For the publisher Raffaello Editore he translated an anthology of Latinamerican short poems (2015) and the anthology “Young Latinamerican poetry” (2015); he also translated Óscar Hahn poetry collections “Tutte le cose scivolano” (2015), “Scintilii in uno specchio rotto” (2016) and “La memoria degli specchi e altre poesie” (2016); by Antonio Cisneros he translated ”Il cavallo senza liberatore” (2015); by Mario Bojórquez “Divano di Mouraria” (2016); by Rafael Courtoisie “Umbría” (2016) and by Marco Antonio Campos “Dove andava il vento” (2016).

Foto di Giovanni Darconza

Sono ora disponibili un'intervista fatta a Marta Markoska ed un commento critico sulla sua poesia.

Con il nuovo anno è iniziato il conto alla rovescia che ci porterà ad Europa in Versi 2017: mancano 9 settimane al tanto anticipato Festival, che si terrà il 7 e l'8 aprile.

Nell'attesa vi aiuteremo a conoscere meglio i poeti ospiti dell'edizione 2017, presentandovene uno ogni settimana. Oggi la protagonista è Marta Markoska, poetessa macedone che intreccia nei suoi versi scienza e sentimento.

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